Sicurezza sul lavoro

14.06.2021

Sicurezza sul lavoro e responsabilità  231 della Società  a cura di Avv. Giovanni Scudier

Muletti e segnaletica orizzontale: il costo della vernice è prova di una politica aziendale disattenta alla sicurezza dei lavoratori?

Cominciamo con questa newsletter il nostro cammino assieme a Mulmix nel mondo della sicurezza sul lavoro, alla ricerca delle novità più interessanti , delle sentenze più significative, delle attenzioni più consigliabili; e lo facciamo, come è giusto per un cammino rivolto al futuro, partendo dalla prospettiva più innovativa della normativa su infortuni e malattie professionali.

Quando interviene una condanna per omicidio o lesioni colpose con violazione della normativa prevenzionale, l’art. 25-septies del Decreto 231/01 prevede che anche la società possa essere condannata: non alla reclusione o alla multa, come il datore di lavoro imputato, bensì ad una pena pecuniaria o una pena interdittiva, che nei casi più gravi possono arrivare a importi milionari o addirittura a impedire l’attività.
E’ quella che va oramai nota come “responsabilità 231”: tecnicamente, la responsabilità amministrativa dell’ente.
Pur applicata ancora a macchia di leopardo e per certi versi ancora sconosciuta, è una normativa oramai entrata da tempo nelle aule dei Tribunali; ce ne occupiamo qui proprio per una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, la n. 22256/2021, che si è occupata di un caso di lesioni colpose per l’investimento di un lavoratore da parte di un muletto, causato secondo l’accusa dalla mancanza di una viabilità sicura ivi compresa, tra l’altro, la mancanza di adeguata segnaletica orizzontale (le strisce per terra).
Non ci soffermiamo sulla vicenda del datore di lavoro, peraltro condannato, bensì sulle sorti della società, condannata in due gradi di giudizio per responsabilità 231 perché la sua colpa, individuata nella mancanza di una organizzazione adeguata, è stata affermata ritenendo – come richiede il Decreto 231 – che il reato fosse stato commesso “nell’interesse o a vantaggio dell’ente”.
Non basta infatti la responsabilità penale della persona fisica, per condannare anche la società: occorre dimostrare che la violazione della norma prevenzionale è stata possibile per una carente politica aziendale, disattenta alla sicurezza, e perché l’azienda ha anteposto alla tutela dei lavoratori il proprio interesse (a risparmiare), ovvero perché l’infortunio è causato da una politica aziendale volta ad ottenere un vantaggio in termini di riduzione dei costi e di massimizzazione della produzione anziché a proteggere i lavoratori.
In questo caso, la società era stata ritenuta responsabile – tra l’altro – per avere risparmiato sui costi necessari a predisporre una viabilità adeguata; semplificando ma non troppo, per non avere speso il denaro per la vernice con cui tracciare le righe per terra per il transito dei muletti.
La Corte di Cassazione annulla la condanna; non perché ritenga escluso che la società abbia avuto un interesse o un vantaggio, bensì perché ritiene che né l’uno né l’altro siano stati debitamente accertati nei due gradi di giudizio; rimette pertanto il processo ad un nuovo giudizio, affinchè si accerti se l’omessa adozione della singola misura di prevenzione sia da addebitare o meno alla ricerca aziendale di un improprio vantaggio.
Secondo la Suprema Corte, non basta accertare la violazione prevenzionale per condannare la società: è bensì vero che se non si adotta una misura di prevenzione questo “implica quasi sempre un risparmio di spesa”, ma questo “può non essere rilevante”, e la misura modesta del risparmio conta soprattutto quando il contesto complessivo è “di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro”. In questi casi, occorre provare qualcosa di più: la consistenza del vantaggio.

Quali insegnamenti possiamo trarre da questa sentenza per le imprese che vogliono evitare la responsabilità 231?

Il primo insegnamento è di tipo “negativo”, cioè è un avvertimento: per affermare che la politica aziendale è disattenta non sono per forza necessarie, secondo questa sentenza, molteplici violazioni sistematiche, anzi può bastare una singola violazione, perfino se dovuta ad una “semplice sottovalutazione del rischio” o ad una “errata valutazione delle misure di sicurezza necessarie”.
E’ una parte della sentenza che solleva perplessità, perché finisce per attribuire rilevanza anche a condotte omissive che possono essere isolate e del tutto occasionali, come è assai frequente se non addirittura tipico delle casistiche di infortunio sul lavoro.


Il secondo insegnamento è invece di tipo “positivo”, cioè vale come un suggerimento da seguire: se è vero che può bastare una singola violazione, è altrettanto vero che quando quella violazione avviene in un contesto di generale osservanza della normativa, allora per la condanna occorre una specifica prova di un effettivo ed apprezzabile vantaggio.
In altre parole, un risparmio irrisorio può essere anche essere sufficiente a far condannare la società, se quel risparmio avvenga in un contesto complessivo di generale mancanza di sicurezza; mentre la prova dell’interesse e del vantaggio deve essere molto più rigorosa, quando la situazione generale dell’azienda è “buona”.


In conclusione, non è certo una sentenza appagante, se si considera che un risparmio irrisorio viene comunque considerato astrattamente sufficiente a qualificare una società come immeritevole, e che viene negata la necessità di una qualsiasi “sistematicità” nelle violazioni, finendo per punire anche singoli accadimenti occasionali: mentre la logica della norma dovrebbe essere quella di punire quelle società che disprezzano la tutela dei lavoratori.
Però anche i segnali positivi vanno colti e valorizzati: e in questo caso il segnale è che quando l’impresa applica le regole e si impegna nel rispetto delle norme di sicurezza, questo comportamento trova un suo riconoscimento anche nelle aule dei Tribunali.
E’ un riconoscimento a denti stretti, per così dire, con molti distinguo; ma ci dice che la strada intrapresa da chi valuta i rischi, predispone le misure di prevenzione, forma i dipendenti, vigila sull’applicazione delle regole, è una strada da continuare a percorrere: per la tutela dei lavoratori innanzitutto, ma anche per la tutela della società, del suo patrimonio, della sua continuità.

Anche per questo abbiamo voluto cominciare con questa sentenza il nostro viaggio con Mulmix: se la sicurezza sul lavoro è materia che non lascia mai spazio a facili ottimismi, è però altrettanto vero che gli sforzi fatti per migliorare costantemente pagano; ed anche una newsletter, a volte, può aiutare.

Avv. Giovanni Scudier, Studio C&S Casella e Scudier – Padova

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